L'esperienza dei giovani che alloggiano presso il Centro di accoglienza Giovanni XXIII gestito dall'Ucsei
(di Angela Napoletano)
Studiare in Italia è un’opportunità che può cambiare la vita. Soprattutto quella di giovani africani, asiatici e sudamericani. Le difficoltà, certo, sono tante. Mettersi in regola con i permessi di soggiorno, per esempio, o trovare un alloggio. Ma è proprio grazie a una laurea italiana in mano che, alla fine, “i fuorisede” di tanti Paesi in via di sviluppo maturano la consapevolezza di diventare «una risorsa strategica» per la nazione d’origine. Soprattutto quando, poi, si ha la fortuna di incontrare don Remigio Musaragno, il padre fondatore dell’Ufficio centrale studenti esteri in Italia (Ucsei) che dal 1970 gestisce, con l’appoggio della Chiesa, il Centro di accoglienza Giovanni XXIII dando alloggio,ogni anno, a 170 studenti provenienti dai Paesi non comunitari.
Don Remigio ha compiuto 80 anni. E ieri, in Campidoglio, ha ricevuto dal Comune una targa di onorificenza per l’impegno con cui ha difeso il diritto all'istruzione di chi, per ragioni economiche o politiche, non ha potuto studiare in patria ma lo ha fatto in Italia.
Anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha inviato un messaggio di auguri al autore della «politica dell’accoglienza». Tra canti in latino e cori improvvisati al ritmo di tamburi africani, a festeggiarlo, però, non c’erano solo i ragazzi che attualmente vivono al Giovanni XXIII. Puntuali, come ogni anno, sono venuti a salutarlo dalla Colombia e dal Nicaragua, giusto per fare qualche esempio, anche gli ex ospiti del Centro: oggi avvocati e dirigenti nei loro rispettivi Paesi. Ragazzi che hanno vissuto la partenza come un donarsi, non come un’evasione.
E che, come ha sottolineato monsignor Lorenzo Leuzzi, direttore dell’ufficio pastorale universitaria del Vicariato, sono riusciti a «vivere la globalizzazione da protagonisti».
Procurarsi un tetto sulla testa è la prima difficoltà che gli studenti stranieri devono affrontare appena arrivati in Italia. «Ho visto i miei risparmi volatilizzarsi in pochi giorni» racconta Jean Claude Boundi, 30 anni, nato in Camerun, studente del quarto anno di chimica industriale all'università "La Sapienza", ricordando la stanza presa in affitto presso una pensione appena arrivato in Italia. «Prima di trasferirmi al Centro ho abitato anche in una comunità di preti che ospita stranieri – passa in rassegna Jean Claude – e in un appartamento vicino Ostia, fino a quando un amico mi ha presentato a don Remigio con cui ho fatto uno, due, tre colloqui».
«Le case per lo studente sono poche» sottolinea Andry Rakotomavo, 31enne del Madagascar laureata in Scienze sociali all’Università Gregoriana. «Ogni anno – continua Andry – ci chiedevamo: ma se il Centro chiude noi dove andiamo?». La giovane racconta che per l’alloggio al Giovanni XXIII «si paga una piccola quota» e che lei nel corso degli studi ha cercato di guadagnarsi facendo ogni tipo di lavoro, dalla baby sitter alla domestica. «Praticamente tutto quello che gli italiani non vogliono fare» puntualizza la ragazza del Madagascar. Adesso Andry lavora come assistente al laboratorio radiofonico dell’ateneo in cui ha studiato. Ma pensa che un giorno tornerà nella sua isola portandosi dietro suo marito, un napoletano conosciuto nella Capitale. Altro problema, i permessi di soggiorno. «Vanno rinnovati di anno in anno – spiega Andry – scontrandosi con tempi burocratici lunghissimi. Talvolta è capitato che il rinnovo fosse scaduto ancor prima di essere rilasciato».
Quello che per gli studenti stranieri potrebbe rappresentare un ostacolo insormontabile, imparare la lingua italiana, sembra invece che, nei fatti, sia tra i problemi minori. «È una lingua di origine latina che, soprattutto per i francofoni, risulta abbastanza facile da apprendere» spiega Gilbert Kiyangi, 28 anni, congolese, laureato in Economia dello sviluppo alla Gregoriana. «Poi ci sono gli amici italiani –continua Gilbert – che ti offrono l’occasione per praticarla da subito. Parlando di calcio, per esempio, o andando a scuola guida».
La presenza degli stranieri negli atenei italiani è tra le più basse d’Europa. Secondo i dati dell’anagrafe nazionale studenti, gli immatricolati provenienti dall’estero per l’anno accademico 2005/2006 sono stati circa 7.500, circa il 2% del totale. «Troppo poco - come ha osservato il ministro della Salute, Livia Turco - perché si possa parlare in Italia di democrazia inclusiva». Negli atenei di Francia e Germania la presenza degli stranieri arriva anche fino al 7%.
27 ottobre 2006
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