Tratto dal libro: "Dalla parte degli studenti esteri . La buona battaglia di Don Remigio Musaragno. Testimonianze per i suoi 80 anni e piccola antologia dei suoi scritti." Anno pubbl. 2006
Introduzione di Giampiero Forcesi
Il fatto è che non lascerà eredi. Questo ormai si può dire. Compie 80 anni, don Remigio, ed eredi non ce ne sono. E, a pensarci bene, non ce ne potrebbero essere. Successori , certo, sì, e magari bravi.
Le "opere" di Don Remigio , infatti , probabilmente proseguiranno anche quando lui si ritirerà definitivamente. Certo, proseguirà il Centro Giovanni XXIII, cosi prezioso nel suo accogliere, nel cuore di Roma, fino a 170 studenti per anno.
Ed è auspicabile che proseguirà anche l'Ufficio Centrale Studenti Esteri l'Ucsei, con il suo servizio sociale che aiuta economicamente gli studenti in difficoltà e con il suo settore di animazione culturale che cerca di valorizzare la presenza in Italia degli studenti esteri e di consentire a loro di essere, un domani, uomini e donne di cerniera tra il loro e il nostro Paese, affinché ci sia più amicizia tra i popoli dunque più cooperazione e più giustizia.
Ma lo spirito delle sue "opere" potrà essere lo stesso?
E' ben difficile, a meno che non sia lo Spirito a prendersi cura dell' eredità di Don Remigio.
Quanto a lui, che dire? L'impressione è che si sia sentito, con buon senso evangelico, un servo inutile, e che dunque abbia pensato che non valesse così tanto la pena di perseverare e tramandare ciò che andava compiendo. L'impressione è che si sia sentito, anche qui con intelligenza evangelica, un seme, un lievito; e dunque ora egli è tranquillo e ha fiducia che, da quanto è seminato e impastato, potranno venire altri frutti, altri sviluppi; non importa sapere quali e come.
Inoltre egli ha sempre creduto, e detto e scritto che questa "opera", l'Ucsei- cioè il diritto allo studio per tutti per far crescere giustizia e pace nelle comunità degli uomini-, avrebbe avuto le gambe per caminare solo se i giovani stessi ci avessero tenuto, si fossero messi insieme , aiutati tra loro, organizzati, se avessero fatto sentire la propria voce. Don Remigio ha considerato se stesso e l'Ucsei soltanto come strumenti a servizio di quel percorso.
E, infine c'è da dire che, talvolta, le persone sono proprio irripetibili. Tutte, certo, lo sono: uniche nella loro individualità. Ma in taluni casi ci si accorge in modo più evidente che una certa esperienza, un certo segno impresso nella vicenda umana non è ripetibile, non è imitabile. I carismi di Don Remigio, e il modo con qui essi si sono impastati con i luoghi e i tempi in cui egli ha trascorso la sua età più fertile, hanno impresso un segno che è ben difficile immaginare che possa essere ereditato e riproposto. Si pensi a quella sua determinazione così forte e costante a perseguire la promozione degli studenti esteri e, al tempo stesso e, il suo non prevaricare, il suo non imporsi, il suo rispetto per le scelte altrui, il suo pensarsi come servitore e non un protagonista. Si pensi al tipo di cristiano e di sacerdote che è stato e che è. Alfonso Castrillon, uno studente latinoamericano della prima ora (ora docente di storia dell'arte a Lima), in un messaggio inviato quando questo libro-omaggio a don Remigio era già in tipografia, ha scritto : "Don Remigio es un hombre de los quedan pocos, que pratica la caridad sin reparar en el credo que profesa". Davvero la sua caridad ( la quale non si cura del credo religioso che l'altro professa) è stata praticata a tutti livelli. E, in misura molto alta, egli l'ha praticata sul piano del rispetto dell'altro (delle sue idee, del suo credo) e avendo attenzione a cercare sempre di rafforzare nell'altro la capacità concreta di perseguire ciò che egli liberamente considerava il suo proprio bene. In questo la sua testimonianza cristiana e di pastore è stata mirabile. Certo, singolare, inconsueta; ma mirabile. E cosi è stata percepita, come risulta non solo dalle parole di Alfonso Castrillon ma anche dalle testimonianze che si cono potute, molto frettolosamente, raccogliere per comporre questo libro. I "testimoni" avrebbero potuto essere centinaia, forse migliaia. Ma in Ucsei non c'erano gli indirizzi... Sono sparsi nel mondo, i testimoni. Ed è ben difficili rintracciarli. Si sono rintracciati quei pochi che è stato possibile. Ma facendo questa ricerca è parso di comprendere meglio l'atteggiamento di don Remigio verso il futuro, la sua idea di eredità da lasciare. Gli eredi, si può dunque pensare, sono proprio quelle centinaia o migliaia di (ex) studenti passati per l'Ucsei o per il Centro, e di cui non c'è più indirizzo. Sono loro l'eredità che più conta. Del resto, dal sorriso tranquillo di don Remigio, al di là delle preoccupazioni contingenti , questo appare chiaro.
Alle testimonianze, così disparate ma preziose, che sono raccolte nella prima parte del libro si unisce una scarna antologica di brani tratti dagli editoriali scritti da don Remigio su Amicizia nell'arco di 36 anni , dal 1964 al 2000. Anch'essi, questi suoi brevi testi, sono dei "testimoni", nitidi, del suo spirito, delle sue idee, del suo stile di lavoro, del suo atteggiamento verso gli altri, del suo profilo di educatore. La scelta che se ne è fatta è assolutamente parziale, arbitraria; nella fiducia, però, di non tradire l'autore.
Si aggiunge alle prime due una terza sezione del libro, nella quale si pubblicano due contributi ad una futura storia, che sperabilmente qualcuno scriverà, dell'Ucsei. Una storia che non è tutta alle spalle, anzi. Don Remigio, come non poche testimonianze in queste pagine rilevano, ha anticipato i tempi, di molto. Le sue convenzioni e le sue battaglie stanno diventando attuali adesso. Sia quelle sulla necessità di praticare il dialogo tra culture e religioni, come strada ad una pace più solida e alla diversa cooperazione dell'Italia ( governo, istituzioni, università, società civile) con i paesi dell'Africa, dell'America Latina, dell'Asia, e dell'Est Europa: una cooperazione, cioè, che riconosca il suo centro vitale nella valorizzazione delle persone, nella loro formazione, nella promozione delle loro capacità di costruire autonomamente i percorsi dello sviluppo delle loro comunità e dei loro Paesi.
E, dunque, don Remigio, che eredi non ne lascia, almeno non nel senso di persone cui ha dato la "consegna" di proseguire la sua opera nel suo spirito, lascia però una eredità vitalissima, un ideale di straordinaria concretezza e rilevanza, a cui ciascuno potrà attingere: gli studenti esteri di oggi e di domani, chi lavora e lavorerà nell'Ucsei e nel Centro, chi si occupa di università, di cultura, di cooperazione. Lui, che compie i suoi 80 anni con una salute precaria ma con un sguardo ancora vigile, è certamente contento di vedere quanto terreno arato egli ha lasciato a chi viene dopo di lui. E non mancherà di offrire qualche saggio consiglio a chi vorrà giovarsene per proseguire il cammino.
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