Gli studenti esteri in Italia e l’attività dell’Ucsei
È impossibile non ricordare in questa sede, mons. Remigio Musaragno e la sua creazione più cara all’ inizio degli anni ’60: l’Ufficio centrale studenti esteri in Italia (Ucsei), un’opera preziosa per molte centinaia,
forse migliaia, di giovani dell’Africa , dell’America Latina, e anche dell’Asia, e più recentemente dell’Europa dell’Est. Si è trattato di una piccola struttura a servizio di quanti, da paesi con poche possibilità di buoni studi superiori, venivano in Italia per frequentare le nostre università. Una struttura messa in piedi da questo sacerdote di Treviso trapiantato a Roma, che proveniva da Propaganda Fidae e il cui impegno di evangelizzazione si realizzava nel totale rispetto per le culture e per le fedi di tutti.
Una struttura nata su una convinzione semplice ma del tutto innovativa, che anticipava di gran lunga i tempi: accogliere questi studenti in modo degno, offrendo loro gli stessi diritti degli studenti italiani (alloggi, mense, borse di studio per i meno abbienti e meritevoli), e anzi trattandoli con un’attenzione particolare, avrebbe fatto di loro i più efficaci soggetti dello sviluppo dei loro Paesi e arricchito l’Italia di legami fecondi
con quei Paesi.
Per molti anni l’Ucsei è stata attiva aprendo sedi in alcune città italiane, facendo convegni nazionali, dando vita a uno strumento di informazione e di formazione insieme, e anche di coordinamento: la rivista mensile “Amicizia”, scritta quasi per intero dagli studenti esteri. Dopo il ’68 e i difficili anni ’70, la classe dirigente italiana ha mostrato diffidenza verso l’arrivo di studenti dai Paesi non comunitari e ha iniziato a frapporre ostacoli burocratici di ogni tipo, frenando l’incremento delle loro presenze e anzi diminuendone il numero per tutti gli anni ’80 e ‘90.
L’Ucsei si è battuta con tutte le sue forze (certo, deboli: il sacerdote, don Remigio Musaragno, qualche assistente sociale, un po’di volontari e via via gli studenti che si avvicendavano) per dire l’insensatezza e la miopia di una politica di chiusura verso gli studenti del cosiddetto Terzo mondo e per affermare, invece, il loro diritto a studiare in Italia quando fosse difficile o impossibile farlo nei loro Paesi, e comunque per far capire il vantaggio che ne avremmo avuto anche noi italiani nell’averli nelle nostre università.
La rivista “Amicizia” ha raccolto anno per anno le statistiche degli studenti esteri presenti in Italia, università per università, quando ancora non lo faceva né l’Istat né il ministero della Pubblica Istruzione. Ha organizzato ogni anno un Convegno nazionale per mettere a confronto le esperienze di inserimento degli studenti esteri nelle varie università e indicare ai responsabili dei ministeri dell’Istruzione, degli Esteri e dell’Interno le storture politico-burocratiche che prima rendevano difficile l’ingresso in Italia e poi rendevano difficile di viverci e di studiarci (il diritto allo studio, per loro, è stato acquisito definitivamente solo nel 1998).Non ostacolare il loro ingresso, anzi incoraggiarlo; non penalizzare il loro corso di studi (ad esempio impedendo il cambio di facoltà, lesinando gli alloggi e le borse di studio, opprimendoli con ritardi insopportabili nella pratica di rinnovo dei permessi di soggiorno), ma semmai facilitarlo: questi sono stati impegni concreti dell’Ucsei, perseguiti con tenacia, rivolgendosi anno dopo anno alle istituzioni, anche quando le forze si erano fatte più esigue e funzionava solo la sede di Roma. Ma l’impegno forse più grande, e lungimirante, è stato quello di cercare di far aprire gli occhi sulle contraddizioni di una politica che, mentre si diceva impegnata nella cooperazione con i paesi in via di sviluppo, poi si disinteressava di quello che avrebbe potuto essere il soggetto più autentico di un vero sviluppo e di una vera cooperazione tra l’Italia e quei Paesi. Lunghissima, e finora infruttuosa, è stata la battaglia di mons. Remigio Musaragno e dell’Ucsei per far cambiare la legge sulla cooperazione allo sviluppo, inserendovi la possibilità di far partire come cooperanti e volontari anche coloro che, provenendo da quei paesi, si andavano laureando in Italia.
Nella linea di valorizzare la presenza in Italia degli studenti esteri, don Remigio ha creato il Ponte, una struttura che per decenni ha raccolto le tesi di laurea di migliaia di studenti esteri, inserite in una biblioteca che è stata anche specializzata per la raccolta dei progetti di cooperazione di molte Ong italiane in Africa e in America Latina. Ha raccolto fondi per dotare un servizio sociale interno all’Ucsei di risorse per aiutare gli studenti a finire i loro studi e a pubblicare le loro tesi. Ha promosso, insieme alla federazione delle Ong di ispirazione cristiana (la Focsiv) e alla Caritas,una Scuola di Politica Internazionale, Cooperazione e Sviluppo (la Spices), oggi alla 19a edizione. Ha aperto una Galleria d’Arte per accogliere e far conoscere mostre di artisti provenienti da altre culture e Paesi. Ha chiesto e ottenuto l’idoneità dell’Ucsei per l’attività di educazione allo sviluppo e, nello scorso decennio, ha realizzato numerosi progetti di sensibilizzazione all’interno di scuole romane e anche delle università della capitale, pubblicando negli ultimi dieci anni otto libri (sulla globalizzazione, sui metodi di lotta non violenta, sul colonialismo) e traducendo in italiano
il programma del Nuovo Partenariato dell’Africa per lo Sviluppo. Ha sostenuto iniziative, convegni, giornali e associazioni degli studenti di Paesi africani presenti in Italia.
Per ultimo, proprio prima che la malattia lo togliesse per sempre dall’impegno di una vita, ha messo la sua firma ad un progetto di educazione allo sviluppo, piccolo nelle risorse ma esemplare, con il quale l’Ucsei, da un lato, ha raccontato a studenti romani la vita e il lavoro nelle realtà rurali dei paesi subsahariani e, dall’altro, ha sostenuto il rientro nel suo paese (la Repubblica Democratica del Congo) di un giovane che aveva studiato scienze agricole in Italia e poi in Belgio, finanziando, ad un’associazione locale che quel giovane aveva fondato prima di lasciare il suo Paese, un corso di formazione rurale per un centinaio di contadini. Il rientro degli studenti è tata sempre la preoccupazione di mons. Musaragno e su questo particolare aspetto l’Ucesi ha molto riflettuto e scritto.
Non meno prezioso, certamente, nella lunga e inesausta attività di don Remigio per gli studenti esteri è stato il Centro Internazionale Giovanni XXIII che, a più riprese, ha iniziato a far funzionare fin dagli anni ‘70 e che nell’ultimo quindicennio accoglieva oltre 160 studenti, nel vecchio edificio di Lungotevere dei Vallati.
Un luogo in cui sono passati tantissimi studenti, di oltre 50 paesi diversi, vi hanno soggiornato per anni, compiendo per intero i loro studi; vi hanno vissuto in una comunità aperta, di ragazzi e ragazze, partecipando liberamente a tante attività culturali e sportive, lavorando alla rivista Amicizia, organizzando i convegni, facendo parte dei progetti di educazione allo sviluppo, e soprattutto dialogando tra loro,
senza obblighi religiosi ma ricevendo la testimonianza della fede evangelica di don Remigio tramite la sua dedizione per loro e il suo rispetto per le idee di ciascuno.
Rossetta Pellegrini
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